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cristina garrino

COVID-19 E TROMBOSI, COSA SAPPIAMO OGGI?

Aggiornamento: 6 ago 2022



La domanda che nell'ultimo anno mi viene rivolta più spesso in ambulatorio riguarda, ovviamente, la correlazione fra trombosi e COVID, o fra trombosi e vaccino anti-COVID.

Cercherò di fare un po' di chiarezza, basandomi su quelli che sono i dati emersi da quando questo nuovo virus, SARS-COV-2, ha fatto la sua comparsa, e ancor più da quando sono stati messi a punto i primi vaccini.



LA MALATTIA DA SARS-COV-2 (COVID-19)


Da qualche mese sentivamo parlare di una nuova epidemia in Cina; le notizie arrivavano frammentarie e confuse, una città -Wuhan- completamente blindata, centinaia o forse migliaia di morti, nuovi ospedali costruiti in tutta fretta, altre città completamente deserte con la gente chiusa in casa e la polizia per strada, 60 milioni di persone in lockdown, i pochi in circolazione con il volto coperto da mascherine chirurgiche, un quadro che ci sembrava surreale; la malattia assomigliava alla SARS del 2002-2003, che aveva lambito l'Italia nel marzo-aprile 2003, ma le misure di tracciamento e isolamento a quell'epoca avevano limitato -da noi- il numero di casi e circoscritto rapidamente il contagio.

Il 9 gennaio 2020, il China CDC (il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie della Cina) aveva identificato un nuovo coronavirus (provvisoriamente chiamato 2019-nCoV, in seguito ribattezzato SARS-COV-2) come causa dell'epidemia. L’11 febbraio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva annunciato che la malattia respiratoria causata dal virus era stata chiamata COVID-19 (Corona Virus Disease, 2019).

Tutto è improvvisamente cambiato il 21 febbraio 2020, quando è stato diagnosticato, a Codogno, il primo caso di polmonite grave con diagnosi di infezione da virus SARS-COV-2. Si trattava di un uomo di 38 anni, sano, sportivo, che aveva di recente partecipato ad una maratona; presentava una polmonite atipica che continuava a peggiorare nonostante le cure, tanto da arrivare ad aver bisogno di intubazione e trasferimento in terapia intensiva, da cui uscirà solo 3 settimane dopo.



Nel giro di pochi giorni i casi confermati aumentano vertiginosamente, il contagio assume davvero l'aspetto di una "ondata" che travolge tutto quel che incontra; nelle zone dei primi focolai (Vo Euganeo, Bergamo) gli ospedali sono presi d'assalto e rapidamente riempiti di pazienti in insufficienza respiratoria; tutti i pazienti non-COVID vengono trasferiti per far posto ai COVID, ma i posti letto non bastano mai, il personale viene contagiato, i mezzi di soccorso viaggiano tutto il giorno e tutta la notte, di questa malattia non si sa ancora quasi nulla salvo il fatto che viene trasmessa anche da pazienti asintomatici e non sembra rispondere ad alcuna terapia convenzionale; viene deciso il lockdown nazionale nel tentativo di arginare una ulteriore diffusione del contagio che sembra inarrestabile.

E’ in questo scenario che si cerca di capire meglio con quali meccanismi il virus aggredisce, per poter trovare una terapia adeguata. Inizialmente non era possibile neppure eseguire autopsie, per il timore di diffondere ulteriormente il contagio e perché il personale sanitario era tutto impegnato “in prima linea”, indipendentemente dalla specializzazione. E’ stato proprio con le prime autopsie che è emerso che la maggior parte dei pazienti morti presentava complicanze trombo-emboliche.



COVID-19 E TROMBOSI


Dopo più di due anni, la correlazione fra COVID e trombosi, sia arteriosa che venosa, è ormai un dato di fatto, anche se non se ne conoscono nel dettaglio tutti i meccanismi e soprattutto i fattori di rischio (ossia: quali pazienti rischiano di sviluppare queste complicanze?)

Sappiamo che qualunque “aggressione” da parte di virus o batteri o sostanze infiammatorie, se importante o prolungata, provoca l’immissione nel nostro torrente circolatorio di sostanze che facilitano la formazione di coaguli.

Questo virus fa di più. Avrete sentito parlare della “tempesta di citochine”. In corso di infezione da virus SARS-COV-2, il sistema immunitario di alcuni pazienti sviluppa una reazione “esplosiva”, con la produzione di una enorme quantità di sostanze infiammatorie, le citochine appunto (una in particolare, l’interleuchina 6, è diventata la “star” delle citochine in questa pandemia). Queste sostanze infiammatorie, prodotte per difenderci dall’infezione, se in quantità eccessiva aggiungono danni a quelli già prodotti direttamente dal virus sulle nostre cellule.


In particolare, a livello dei vasi venosi e arteriosi, si possono osservare differenti gradazioni di danno endoteliale (ossia alterazioni della parete della vena o dell’arteria). Significa che, oltre alle sostanze in circolo che facilitano la coagulazione, il rischio di trombosi è aumentato anche per la presenza di queste lesioni delle pareti dei vasi. Nei pazienti gravi, quindi, oltre alle trombosi venose e alle embolie polmonari, possono manifestarsi anche ischemie cardiache (infarto) o cerebrali (ictus).

Ma cosa significa “pazienti gravi”? Nel momento in cui inizio a sviluppare sintomi da COVID, come posso sapere se avrò una forma leggera o una forma grave?

Esistono delle tabelle con criteri clinici e laboratoristici per classificare il livello di gravità della malattia; in pratica, si considera “malattia paucisintomatica” la presenza di sintomi classici (febbre, dolori, tosse, mal di gola, astenia, riduzione dell’olfatto o del gusto, facile affaticamento) purché non ci sia riduzione dei livelli di ossigeno nel sangue dopo una camminata breve ("5 minutes walking test").

Nel caso in cui invece ci fossero segni o sintomi di interessamento polmonare (walking test positivo, radiografia o ecografia del torace positive) si parlerà di malattia lieve, moderata o grave; ovviamente tale valutazione sarà di competenza del medico, che a quel punto potrà prescrivere terapia con eparina frazionata a dosi profilattiche o terapeutiche (sono appena uscite le linee guida CHEST su questo argomento).

Torniamo però al nostro argomento: le trombosi da COVID e le loro caratteristiche.



Nei pazienti che hanno sviluppato una forma di malattia da "lieve" in su (quindi con interessamento polmonare) il rischio di trombosi è circa del 20% più alto. Aumenta, ovviamente, con l'aumentare della gravità di malattia. Per questo motivo in questi casi è indicata l'eparina frazionata. E' però importante sapere che in alcuni pazienti il rischio persiste per circa tre mesi dopo la scomparsa dei sintomi di COVID.


Ma quali trombosi nel COVID? A quali segnali di allarme dobbiamo prestare attenzione?


Le trombosi correlate alla malattia sono quelle "classiche", ossia colpiscono le vene degli arti inferiori, anche se nelle forme gravi possono manifestarsi direttamente a livello polmonare.


Dobbiamo quindi prestare attenzione, e rivolgerci al medico per eventuali approfondimenti, in caso di:

  • Edema (gonfiore) di una gamba/caviglia, soprattutto se insorto da poco e "asimmetrico", cioè una gamba più gonfia dell'altra


  • Dolore a livello del polpaccio, soprattutto se associato all'edema della stessa gamba


  • Arrossamento, intorpidimento, sensazione di calore o di pulsazione localizzati ad una zona circoscritta della gamba (molto più raramente di un braccio)


  • Improvvisa mancanza di fiato associato a dolore "trafittivo" del torace


Sarà il medico a valutare gli approfondimenti più opportuni (ecodoppler, esami del sangue...) e l'eventuale terapia: attenzione al fai-da-te e ai rischi delle terapie sbagliate....




VACCINO E TROMBOSI



Da dicembre 2020 a marzo 2021 sono stati sviluppati (ed approvati dalla European Medicines Agency -EMA- con procedura “in emergenza” data la gravità della pandemia in atto) quattro vaccini anti-COVID-19: due sono vaccini basati su mRNA incapsulato in nanoparticelle lipidiche (Pfizer/BioNTech e Moderna); gli altri due (AstraZeneca e Johnson & Johnson/Janssen) sono costituiti da un vettore adenovirale ricombinante.

Nel mese di marzo 2021 sono state pubblicate tre descrizioni di una nuova sindrome, caratterizzata da trombosi in sedi inusuali (trombosi dei seni venosi endocranici, trombosi delle vene spleniche o delle vene porta od epatiche) e piastrinopenia, in soggetti vaccinati con AstraZeneca. In seguito, le segnalazioni di questa sindrome associata al vaccino sono aumentate (trombosi e piastrinopenia), senza grosse differenze di incidenza fra i vari vaccini.

Attualmente, cosa sappiamo di queste trombosi associate ai vaccini per il COVID?


La cosa più importante da sapere, e sulla quale concordano tutte le osservazioni, è che si presenta solo alla prima somministrazione di vaccino. In nessun caso questa reazione è stata descritta in occasione di una dose “di richiamo”.



Per quanto riguarda le trombosi correlate al vaccino, abbiamo già visto che nella quasi totalità si tratta di trombosi che si sviluppano in sedi dette “atipiche” (si parla di sedi “tipiche” nel caso degli arti inferiori, e in minor misura superiori); si tratta di trombosi dei seni cavernosi endocranici o di vene dell’addome (milza e fegato).

L’altro elemento importante è la piastrinopenia, ossia la riduzione del numero di piastrine; questo porta ad una maggiore facilità di sanguinamento e di formazione di ematomi.

Tutti i sintomi si sviluppano fra i 4 e i 20 giorni dopo la somministrazione del vaccino, anzi, giova ripeterlo, dopo la prima somministrazione del vaccino. Perché?

L’ipotesi per il momento più supportata dagli studi è quella di una risposta di tipo auto-immune (cioè, la produzione di anticorpi che, invece di “attaccare il nemico”, danneggiano il nostro organismo). In particolare, è stata osservata la comparsa di anticorpi anti-fattore piastrinico 4 (una proteina contenuta nelle piastrine che interagisce con l’eparina). La produzione di questi anticorpi, bloccando il FP-4, spezza l’equilibrio della coagulazione provocando da una parte la distruzione delle piastrine e dall’altra la formazione di trombi in sedi atipiche.

Data la similitudine con un’altra patologia nota da tempo, la piastrinopenia indotta da eparina (HIT, heparin induced thrombocytopenia), questa sindrome è stata chiamata VITT (vaccine induced thrombotic thrombocytopenia).



A quali sintomi quindi dobbiamo prestare attenzione in questo caso?


  • Cefalea persistente, soprattutto se "diversa" dal mal di testa a cui magari siamo abituati


  • Diplopia (visione doppia), alterazioni del visus (visione offuscata), segni di lato (difficoltà a muovere per esempio un braccio o una gamba o una parte del viso)


  • Dolore addominale persistente o ingravescente, a volte dolore toracico


  • Comparsa di ematomi o di macchie rossastre diffuse, soprattutto agli arti inferiori e al torace ("porpora")


Anche in questi casi sarà importante rivolgersi rapidamente ad un medico che stabilirà una serie di accertamenti in tempi rapidi per poter iniziare, se confermata la VITT, una terapia adeguata. Con la comprensione del meccanismo di azione di questa reazione avversa, fortunatamente oggi è possibile intervenire con farmaci che interrompono il progredire della malattia.




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